Bionomia e zonazione del mare
La bionomia si occupa di descrivere l’ambiente attraverso criteri biologici. L’obiettivo, quindi è quello di compiere l’analisi descrittiva (a livello qualitativo, quantitativo, statistico ecc.) degli organismi osservati. Inoltre essa si occupa di definire la terminologia e la classificazione tipologica da assegnare alle diverse distribuzioni di organismi in modo da riconoscerne le affinità ed infine di identificare i fattori che stanno alla base di tali distribuzioni. L’ambiente marino viene solitamente diviso in piani a seconda della profondità.
Cos’è la bionomia?
Il problema della distribuzione degli organismi nello spazio era già stata evidenziata dal naturalista inglese Forbes nel 1944: “gli esseri viventi non sono distribuiti uniformemente sul fondo del mare, ma certe specie vivono in certe parti, […] cosicché il fondo marino presenta una serie di zone o regioni ognuna popolata da suoi peculiari abitanti.” Tali zone “si distinguono l’una dall’altra in base alle associazioni di specie che esse rispettivamente includono”.
Il termine “bionomico” indica la “definizione dell’ambiente attraverso criteri biologici”. Il compito della bionomica è quelllo di:
- compiere l’analisi descrittiva (a livello qualitativo, quantitativo, statistico ecc.) delle distribuzioni osservate
- definire la terminologia e la classificazione tipologica da assegnare a tali distribuzioni, in modo da riconoscerne le affinità
- identificare dei fattori che stanno alla base di tali distribuzioni
La bionomia ha strettissime correlazioni con l’ecologia in quanto il suo oggetto di studio è la biocenosi, che è anche ciò che viene studiato in ecologia. Alcuni autori arrivano a ritenere sinonimi bionomia ed ecologia. Altre strette correlazioni con la bionomia vi sono con la biogeografia e con la scienza evoluzionistica.
Bionomia e biocenosi
Come abbiamo visto il concetto centrale è quello della biocenosi, coniato nel 1877 da Mobius: “Ogni banco d’ostriche è un raggruppamento di esseri viventi, una raccolta di specie, ed un ammasso di individui, che trovano qui tutto il necessario per la loro crescita ed il loro mantenimento […] la scienza non possiede ancora un termine per designare una comunità di esseri viventi in cui l’insieme di specie ed individui, mutualmente limitato e selezionato rispetto alle condizioni ambientali medie, perpetua, attraverso la riproduzione, il possesso di un ben definito territorio. Io propongo la parola biocenosi per questa comunità”.
Questa definizione, tuttavia, non spiega come, sul campo, riuscire ad identificare una biocenosi. Vennero quindi sviluppate tre categorie interpretative fondamentali, basandosi sulla:
- fisionomia dei popolamenti
- costanza-dominanza delle specie componenti
- fedeltà alla biocenosi
A cosa serve la bionomia?
Fondamentalmente la definizione dei popolamenti bentonici (del fondale) è utile allo sviluppo di teorie riguardo alla zonazione nel tempo e nello spazio del substrato marino.
La zonazione spaziale di tipo ecologico si occupa, quindi, della zonazione dei popolamenti nella stessa unità biogeografica secondo determinati gradienti legati a specifici fattori ambientali.
Come riconoscere le biocenosi?
Nella bionomia e zonazione del mare non esiste un criterio univoco per definire e distinguere le diverse biocenosi. Vediamo quali sono i principali criteri utilizzati.
Il criterio fisioniomico
Il criterio fisioniomico è il primo e più intuitivo criterio di differenziamento e si basa sulla diversità di aspetto che le biocenosi possono offrire. Esso è legato alle descrizioni non tassonomiche (strategie di vita, forme di crescita, catene trofiche), che sono molto utilizzate in ecologia marina. Inoltre questo criterio è stato utilizzato, associato a misure fisiche e geomorfologiche, per individuare anche le unità ambientali. Come criterio è spesso sufficiente per una caratterizzazione approssimativa e può servire da base per la programmazione di studi di maggior dettaglio con metodi più rigorosi.
Il criterio di costanza-dominanza
Il criterio di costanza-dominanza è legato alle metodiche della scuola fito-sociologica di Uppsala. Esso prevede che le unità di popolamento siano distinte tra di loro sulla base della proporzionale abbondanza (ovvero dominanza) di specie normalmente frequenti (costanti) in un’ambiente. Il primo applicatore di questo metodo, il danese Petersen individuò le diverse unità di popolamento del fondale in base a specie pilota che fossero abbondanti, ponderalmente dominanti, frequenti, non effimere né stagionali, e presentassero una distribuzione omogenea in una specifica area; in molti casi le stesse specie erano comuni in diverse biocenosi ma non potevano apparire in entrambe come dominanti.
Il criterio di fedeltà
Il criterio di fedeltà, invece, è stato messo a punto dalla scuola fito-sociologica di Zurigo – Montpellier. Esso si basa sull’identificazione di alcune specie, anche relativamente rare, che siano legate in modo più esclusivo possibile ad una determinata unità di popolamento. L’intera lista di specie che abitano un determinato luogo, dopo l’analisi della composizione, viene suddivisa in specie indifferenti, caratteristiche (quelle più fedeli) e compagne, tra cui si trovano solitamente le specie dominanti, in quanto ubiquitarie. Esiste, in questo sistema, una suddivisione gerarchica delle unità fitosociologiche, ovvero: classe, ordine, alleanza, associazione, subassociazione.
La metodologia basata sul concetto di fedeltà, metodologia più utilizzata in Mediterraneo, è quella del “Nouveau Manuel de bionomie benthique de la mer Mediterranée“, scritto da Pérès & Picard nel 1964. Essi denominarono le unità di popolamento biocenosi, utilizzando questa definizione: “gruppo di esseri viventi corrispondente per composizione, numero di specie e di individui, a certe condizioni medie dell’ambiente; tali esseri viventi sono legati da interdipendenza reciproca e, attraverso la riproduzione, perpetuano l’occupazione di un’area geografica, chiamata biotopo, di dimensioni variabili, in cui le condizioni dominanti sono omogenee”. Utilizzando Il criterio di fedeltà essi classificarono le specie, indifferentemente animali e vegetali, in:
1) caratteristiche, che si distinguono in:
- esclusive, se compaiono solo in una determinata biocenosi
- preferenziali, se compaiono anche, ma più raramente, in biocenosi affini
2) accompagnatrici, che spesso sono quelle numericamente dominanti e che possono essere a loro volta:
- caratteristiche di un raggruppamento di ordine superiore alla biocenosi
- indicatrici di particolari fattori ambientali (elevata sedimentazione,accumulo di materia organica, presenza di correnti ecc.)
- indifferenti o ubiquiste o a larga ripartizione ecologica
3) accidentali (ad es. esclusive di altre biocenosi).
I fattori che incidono sulle biocenosi
Pérès & Picard elencano nel loro lavoro anche gli influssi dei differenti fattori, sia abiotici che biotici.
Quelli abiotici sono in particolare quelli che operano a livello del fondo: natura del substrato, idrodinamismo, torbidità, ecc.
Quelli biotici sono invece fattori di regolazione all’interno della biocenosi che non ne delimitano l’estensione.
Inoltre una biocenosi può presentare delle facies, ovvero degli aspetti particolari, caratterizzati dall’esuberanza quantitativa di una o poche specie senza, però, che vi siano cambiamenti sostanziali nella composizione globale della biocenosi.
La biocenosi può presentare stratificazione verticale, nel qual caso presenterà uno strato basale composto da organismi incrostanti e uno strato elevato composto da organismi a portamento arborescente o cespuglioso. Possono poi svilupparsi strati di epibionti e, nel caso che gli strati abbiano caratteristiche floro-faunistiche differenti tra di loro, si può perfino parlare di stratocenosi.
Settori, insiemi e piani bionomici
Secondo Picard, immaginando un cubo sul cui asse X sia disposta la costa, sull’asse Y il gradiente tra costa e mare aperto e sull’asse Z la profondità del mare, si potranno individuare i settori (X), gli insiemi (Y) e i piani (Z) bionomici.
I settori bionomici sono caratterizzati dall’influsso geomorfologico della costa e da altre influenze terrigene. In Italia se ne possono osservare sei:
- coste alte
- terrazzi
- pianure di dune
- pianure litoranee strette
- piane di fiumara
- pianure alluvionali
Gli insiemi bionomici invece sono influenzati dai diversi tipi di sedimentazione che si hanno sotto costa o al largo. In mediterraneo osserviamo tre insiemi:
- prelitorale (fondi del largo)
- frontolitorale (fondi costieri)
- paralico (estuari, lagune, stagni salati costieri ecc.)
I piani bionomici sono invece relativi alla zonazione verticale e ne sono stati definiti, a seconda dei metodi utilizzati, nove, a profondità crescente:
- adlitorale
- sopralitorale
- mesolitorale
- infralitorale
- circalitorale
- batilitorale
- batiale
- abissale
- adale
La zonazione verticale è la parte centrale dell’elaborazione dei modelli bionomici. In realtà la profondità non è un fattore ecologico in sè, e quindi lo studio della zonazione verticale comporta in realtà l’approfondimento dell’azione di altri fattori ecologici quali: pressione, temperatura, estinzione della luce e cambiamento della dinamica delle masse d’acqua.
La zonazione verticale nella bionomia
A conferma di ciò possiamo osservare come la zonazione verticale sia stata quella maggiormente oggetto di dibattito nel campo della biologia marina. Nel dettaglio approfondiamo la zonazione tra infralitorale e circalitorale, ma un discorso simile potrebbe essere fatto per tutti i criteri che distinguono i diversi piani
Il limite tra infralitorale e circalitorale è stato definito sulla base esclusiva di un criterio biologico come il limite inferiore delle fanerogame marine, solo ed esclusivamente dal punto di vista biologico. Tale divisione non è riconosciuta da tutti quale limite di piano. Gli studi, specialmente di Ercegovic e di Riedl, si svilupparono dunque sulla zonazione legata anche a fattori abiotici.
La luce e la bionomia
Ercegovic identificò i piani bionomici legandoli esclusivamente alla penetrazione della luce, descrivendo il piano:
- olofotico (corrispondente al sopralitorale)
- talantofotico (corrispondente all’incirca al mesolitorale)
- megafotico (tra 0 e 5-6 metri di profondità)
- metriofotico (tra 5-6 metri e 35-45 metri di profondità)
- oligofotico (tra i 35-45 e i 100-160 metri di profondità)
- meiofotico (corrispondente al sistema profondo).
Il movimento dell’acqua e la bionomia
Riedl, piuttosto, pose l’accento sull’idrodinamismo giungendo anche lui, come Ercegovic, a non riconoscere un’unica zona nella fascia batimetrica corrispondente al piano infralitorale di Pérès & Picard. Egli, riconobbe invece diverse zone e diverse profondità critiche sulla base dell’idrodinamismo:
- zona ad idrodinamismo dirompente – tra 0,3 m sopra lo zero e 0,3 metri di profondità, lo zero essendo definito come “livello delle acque calme”
- zona di battigia – tra 0,3 m e 1-4 metri di profondità
- 1° profondità critica
- zona ad idrodinamismo oscillante – tra 1-4 metri e 10-20 metri, nella quale i moti sono sia pendolari che orbitali
- 2° profondità critica
- zona ad idrodinamismo di flusso unidimensionale – tra 10-20 m e 30-40 m, lungo il declivo litorale
- 3° profondità critica
- zona ad idrodinamismo di flusso bidimensionale (laminare) – tra 30-40 m e 80-100 m, in corrispondenza della piattaforma continentale
Temperatura ed energia nella bionomia
Anche la temperatura è stata vista come un parametro fondamentale, legandola alla stabilità termica delle masse d’acqua indotta dalla formazione del termoclino.
Le tre curve, di estinzione della luce, idrodinamismo e temperatura, tuttavia si sovrappongono, rendendo difficile la comprensione di quale sia il fattore principale legato alla zonazione. Inoltre è stata introdotta anche l’idea che il fattore leader è in realtà l’energia ambientale in senso lato (Odum & Copeland, 1969).
Questa energia è da valutare sia in quanto apporto funzionale al metabolismo di un dato ecosistema, sia in quanto fattore di stress sopra un certo limite superiore e sicuramente anche quanto fattore limitante sotto un certo limite inferiore.
Le forme di energia sarebbero tre:
- radiante – dovuta al sole, essenzialmente luce e calore
- meccanica – dovuta al movimento delle masse d’acqua
- chimica – dovuta all’apporto di nutrienti e di sostanza organica
Attraverso questo metodo è stato possibile mettere in relazione la struttura trofica delle comunità-tipo di Pérès & Picard, ed in particolare la categoria preponderante dei consumatori secondari, con la forma principale dell’input energetico. Anche Giaccone ha sottolineato come: “tutti gli organismi che fanno parte di una biocenosi sono legati tra di loro da rapporti di scambi energetici che ne condizionano la permanenza e sono in equilibrio con le condizioni climatiche ed edafiche del substrato in cui si insediano e che può esser mobile (fanghi, sabbie, ghiaia, ciottoli) o duro (rocce, relitti, manufatti).”
La bionomia del Mediterraneo
Sopralitorale
Questo piano arriva fino al limite superiore dell’alta marea. Esso è raggiungibile da terra ed è un importante zona di scambio tra gli ecosistemi marini e quelli terrestri.
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Mediolitorale
Questo piano è compreso tra il limite superiore dell’alta marea ed il limite inferiore della bassa marea. Gli organismi che vivono a queste profondità possono restare anche per diverse ore fuori dall’acqua e sono soggetti a grandi sbalzi di temperatura e salinità, motivo per cui presentano spesso adattamenti caratteristici.
Infralitorale
Questo piano parte dal limite inferiore della bassa marea fino a circa 40 metri. Questa profondità in Mediterraneo risulta essere il limite inferiore delle piante, come ad esempio Posidonia oceanica.
Circalitorale
Il piano circalitorale comprende alcuni degli ambienti più affascinanti del Mediterraneo come ad esempio il coralligeno ed arriva a circa 150-200 metri di profondità. Questo piano è l’ultimo a poter essere raggiunto in immersione subacquea.
Batiale, Abissale ed Adale
Questi piani rappresentano gli ambienti più profondi, in cui il fondale tende a diventare limaccioso ed il deposito di sedimento è generalmente sottile. Il piano batiale arriva a 2000 metri, quello abissale a 6000 metri, mentre quello adale è caratteristico delle fosse oceaniche. La vita è estremamente adattata alle basse temperature ed all’elevatissima pressione, e non è possibile la fotosintesi clorofilliana a causa della quasi totale oscurità che vi regna.
Elenco delle biocenosi bentoniche mediterranee
Il Sopralitorale
Il piano sopralitorale arriva fino al limite superiore dell’alta marea. Esso è raggiungibile da terra ed è un importante zona di scambio tra gli ecosistemi marini e quelli terrestri.
I.1. Fanghi
I.1.1. Biocenosi delle spiagge ad asciugatura lenta sotto salicornie
I.2. Sabbie
I.2.1. Biocenosi delle sabbie sopralitorali
I. 2. 1. 1. Facies della sabbia senza vegetazione, con detriti sparsi
I. 2. 1. 2. Facies delle conche con umidità residua
I. 2. 1. 3. Facies delle spiagge ad asciugatura rapida
I. 2. 1. 4. Facies dei tronchi d’albero depositati dal mare
I. 2. 1. 5. Facies delle fanerogame spiaggiate (parte superiore)
I.3. Rocce e ciottoli
I.3.1. Biocenosi delle spiagge ad asciugatura lenta
I.4. Fondi duri e rocce
I.4.1. Biocenosi delle rocce sopralitorali
I.4.1.1. Associazione con Entophysalis deusta e Verrucaria amphibia
I.4.1.2. Pozze a salinità variabile (enclave del mediolitorale)
Il Mediolitorale
Il piano mediolitorale è compreso tra il limite superiore dell’alta marea ed il limite inferiore della bassa marea. Per questo motivo gli organismi che vivono a queste profondità possono restare anche per diverse ore fuori dall’acqua e sono soggetti a grandi sbalzi di temperatura e salinità, motivo per cui presentano spesso adattamenti caratteristici.
II.1. Fanghi, fanghi sabbiosi e sabbie
II.1.1. Biocenosi delle sabbie fangose e dei fanghi
II.1.1.1. Associazione con halophytes
II.1.1.2. Facies delle saline
II.2. Sabbie
II.2.1. Biocenosi delle sabbie mediolitorali
II.2.1.1. Facies con Ophelia bicornis
II.3. Rocce e ciottoli
II.3.1. Biocenosi mediolitorale dei fondi a detrito grossolano
II.3.1.1. Facies dei banchi di foglie morte di Posidonia oceanica e altre fanerogame
II.4. Fondi duri e rocce
II.4.1. Biocenosi della roccia mediolitorale superiore
II.4.1.1. Associazione con Bangia atropurpurea
II.4.1.2. Associazione con Porphyra leucosticta
II.4.1.3. Associazione con Nemalion helminthoides e Rissoella verruculosa
II.4.1.4. Associazione con Lithophyllum papillosum e Polysiphonia spp.
II.4.2. Biocenosis della roccia mediolitorale inferiore
II.4.2.1. Associazione con Lithophyllum lichenoides (= alternato a L. tortuosum)
II.4.2.2. Associazione con Lithophyllum byssoides
II.4.2.3. Associazione con Tenarea undulosa
II.4.2.4. Associazione con Ceramium ciliatum e Corallina elongata
II.4.2.5. Facies con Pollicipes cornucopiae
II.4.2.6. Associazione con Enteromorpha compressa
II.4.2.7. Associazione con Fucus virsoides
II.4.2.8. Concrezione di Neogoniolithon brassica-florida
II.4.2.9. Associazione con Gelidium spp.
II.4.2.10. Pozze e lagune talvolta associate con vermetidi (enclave infralitorale)
II.4.3. Grotte mediolitorali
II.4.3.1. Associazione con Phymatolithon lenormandii e Hildenbrandia rubra
L’Infralitorale
Il piano infralitorale parte dal limite inferiore della bassa marea fino a circa 40 metri. Questa è la profondità che in Mediterraneo risulta essere il limite inferiore delle piante, come ad esempio Posidonia oceanica.
III.1. Fanghi sabbiosi, sabbie, ciottoli e rocce in ambieneti eurialini ed euritermi
III.1.1. Euryhaline and eurythermal biocenosis
III.1.1.1. Associazione con Ruppia cirrhosa e/o Ruppia maritima
III.1.1.2. Facies con Ficopomatus enigmaticus
III.1.1.3. Associazione con Potamogeton pectinatus
III.1.1.4. Associazione con Zostera noltii in ambienti eurialini ed euritermi
III.1.1.5. Associazione con Zostera marina in ambienti eurialini ed euritermi
III.1.1.6. Associazione con Gracilaria spp.
III.1.1.7. Associazione con Chaetomorpha linum e Valonia aegagropila
III.1.1.8. Associazione con Halopithys incurva
III.1.1.9. Associazione con Ulva laetevirens e Enteromorpha linza
III.1.1.10. Associazione con Cystoseira barbata
III.1.1.11. Associazione con Lamprothamnium papulosum
III.1.1.12. Associazione con Cladophora echinus e Rytiphloea tinctoria
III.2. Sabbie fini con più o meno fango
III.2.1. Biocenosi delle sabbie fini in acque molto superificiali
III.2.1.1. Facies con Lentidium mediterraneum
III.2.2. Biocenosi delle sabbie fini ben classate
III.2.2.1. Associazione con Cymodocea nodosa su sabbie fini ben classate
III.2.2.2. Associazione con Halophila stipulacea
III.2.3. Biocenosi delle sabbie fangose in bassa profondità ed acque protette
III.2.3.1. Facies con Callianassa tyrrhena e Kellia corbuloides
III.2.3.2. Facies con risorgenze di acqua dolce con Cerastoderma glaucum e Cyathura carinata
III.2.3.3. Facies con Loripes lacteus, Tapes spp.
III.2.3.4. Associazione con Cymodocea nodusa su sabbie fangose superficiali in acque protette
III.2.3.5. Associazione con Zostera noltii su sabbie fangose superficiali in acque protette
III.2.3.6.Associazione con Caulerpa prolifera su sabbie fangose superficiali in acque protette
III.2.3.7. Facies delle zone di emissione idrotermale con Cyclope neritea e nematodi
III.3. Sabbie grossolane con più o meno fango
III.3.1. Biocenosi delle sabbie grossolane e delle piccole pietre mescolate dalle onde
III.3.1.1. Associazione con rodoliti
III.3.2. Biocenosi delle sabbie grossolana e delle piccole pietre sotto l’influsso delle correnti di fondo (può essere trovata anche nel circalitorale)
III.3.2.1. Facies a Maerl (= Associazione con Lithothamnion corallioidies e Phymatolithon calcareum) (può anche essere trovata come facies della biocenosi del detritico costiero)
III.3.2.2. Associazione con rodoliti
III.4. Rocce e ciottoli
III.4.1. Biocenosi dei ciottoli infralitorali
III.4.1.1. Facies con Gouania wildenowi
III.5. Praterie di Posidonia oceanica
III.5.1. Praterie di Posidonia oceanica (=Associazione con Posidonia oceanica)
III.5.1.1. Ecomorfosi delle praterie striate
III.5.1.2. Ecomorfosi delle praterie a ‘barrier-reef’
III.5.1.3. Facies delle matte morte di Posidonia oceanica senza molta epiflora
III.5.1.4. Associazione con Caulerpa prolifera
III.6. Fondi duri e rocce
III.6.1. Biocenosi delle alghe infralitorali
III.6.1.1. Facies delle rocce spogliate dagli erbivori con alghe incrostanti e ricci di mare
III.6.1.2. Associazione con Cystoseira amentacea (var. amentacea, var. stricta, var. spicata)
III.6.1.3. Facies con Vermetidi
III.6.1.4. Facies con Mytilus galloprovincialis
III.6.1.5. Associazione con Corallina elongata e Herposiphonia secunda
III.6.1.6. Associazione con Corallina officinalis
III.6.1.7. Associazione con Codium vermilara e Rhodymenia ardissonei
III.6.1.8. Associazione con Dasycladus vermicularis
III.6.1.9. Associazione con Alsidium helminthochorton
III.6.1.10.Associazione con Cystoseira tamariscifolia e Saccorhiza polyschides
III.6.1.11. Associazione con Gelidium spinosum v. hystrix
III.6.1.12. Associazione con Lobophora variegata
III.6.1.13. Associazione con Ceramium rubrum
III.6.1.14. Associazione con Cladocora caespitosa
III.6.1.15. Associazione con Cystoseira brachycarpa
III.6.1.16. Associazione con Cystoseira crinita
III.6.1.17. Associazione con Cystoseira crinitophylla
III.6.1.18. Associazione con Cystoseira sauvageauana
III.6.1.19. Associazione con Cystoseira spinosa
III.6.1.20. Associazione con Sargassum vulgare
III.6.1.21. Associazione con Dictyopteris polypodioides
III.6.1.22. Associazione con Calpomenia sinuosa
III.6.1.23. Associazione con Stypocaulon scoparium (= Halopteris scoparia)
III.6.1.24. Associazione con Trichosolen myura e Liagora farinosa
III.6.1.25. Associazione con Cystoseira compressa
III.6.1.26. Associazione con Pterocladiella capillacea e Ulva laetevirens
III.6.1.27. Facies con grandi idrozoi
III.6.1.28. Associazione con Pterothamnion crispum e Compsothamnion thuyoides
III.6.1.29. Associazione con Schottera nicaeensis
III.6.1.30. Associazione con Rhodymenia ardissonei e Rhodophyllis divaricata
III.6.1.31. Facies con Astroides calycularis
III.6.1.32.Associazione con Flabellia petiolata e Peyssonnelia squamaria
III.6.1.33. Associazione con Halymenia floresia e Halarachnion ligulatum
III.6.1.34. Associazione con Peyssonnelia rubra e Peyssonnelia spp.
III.6.1.35. Facies e associazioni della biocenosi coralligena (in enclave)
Il Circalitorale
Il piano circalitorale comprende alcuni degli ambienti più affascinanti del Mediterraneo come ad esempio il coralligeno ed arriva a circa 150-200 metri di profondità. Questo piano è l’ultimo a poter essere raggiunto in immersione subacquea.
IV.1. Fanghi
IV.1.1. Biocenosi dei fanghi terrigeni costieri
IV.1.1.1. Facies dei fanghi soffici con Turritella tricarinata communis
IV.1.1.2. Facies dei fanghi viscosi con Virgularia mirabilis e Pennatula phosphorea
IV.1.1.3. Facies dei fanghi viscosi con Alcyonium palmatum e Stichopus regalis
IV.2. Sabbie
IV.2.1. Biocenosi dei fondi fangosi detritici
IV.2.1.1. Facies con Ophiothrix quinquemaculata
IV.2.2. Biocenosi del detrito costiero
IV.2.2.1. Associazione con rodoliti
IV.2.2.2. Facies a Maerl (Lithothamnion corallioides e Phymatolithon calcareum)
IV.2.2.3. Associazione con Peyssonnelia rosa-marina
IV.2.2.4. Associazione con Arthrocladia villosa
IV.2.2.5. Associazione con Osmundaria volubilis
IV.2.2.6. Associazione con Kallymenia patens
IV.2.2.7. Associazione con Laminaria rodriguezii sul detrito
IV.2.2.8. Facies con Ophiura texturata
IV.2.2.9. Facies con Synascidies
IV.2.2.10. Facies con grandi briozoi
IV.2.3. Biocenosi dei fondali detritici sul bordo della scarpata
IV.2.3.1. Facies con Neolampas rostellata
IV.2.3.2. Facies con Leptometra phalangium
IV.2.4. Biocenosi delle sabbie grossolane e delle piccole pietre sotto l’influsso delle correnti di fondo (biocenosi presenti in località con condizioni idrodinamiche particolari, come gli stretti, presenti anche nell’infralitora)
IV.3. Fondi duri e rocce
IV.3.1. Biocenosi del coralligeno
IV.3.1.1. Associazione con Cystoseira zosteroides
IV.3.1.2. Associazione con Cystoseira usneoides
IV.3.1.3. Associazione con Cystoseira dubia
IV.3.1.4. Associazione con Cystoseira corniculata
IV.3.1.5. Associazione con Sargassum spp. (indigenous)
IV.3.1.6. Associazione con Mesophyllum lichenoides
IV.3.1.7. Associazione con Lithophyllum frondosum e Halimeda tuna
IV.3.1.8. Associazione con Laminaria ochroleuca
IV.3.1.9. Associazione con Rodriguezella strafforelli
IV.3.1.10. Facies con Eunicella cavolinii
IV.3.1.11. Facies con Eunicella singularis
IV.3.1.12. Facies con Lophogorgia sarmentosa
IV.3.1.13. Facies con Paramuricea clavata
IV.3.1.14. Facies con Parazoanthus axinellae
IV.3.1.15. Coralligeno di piattaforma
IV.3.2. Grotte semi-oscure (anche in enclave nei piani superiori)
IV.3.2.1. Facies con Parazoanthus axinellae
IV.3.2.2. Facies con Corallium rubrum
IV.3.2.3. Facies con Leptosammia pruvoti
IV.3.3. Biocenosi delle rocce sul bordo della scarpata
Il Batiale
Il piano batiale rappresenta quello degli ambienti più profondi in cui il fondale tende a diventare limaccioso ed il deposito di sedimento è generalmente sottile. Il piano batiale arriva a 2000 metri
V.1. Fanghi
V.1.1. Biocenosi dei fanghi batiali
V.1.1.1. Facies di sabbie fangose con Thenea muricata
V.1.1.2. Facies dei fanghi fluidi con Brissopsis lyrifera
V.1.1.3. Facies dei fanghi soffici con Funiculina quadrangularis and Apporhais seressianus
V.1.1.4. Facies dei fanghi compatti con Isidella elongata
V.1.1.5. Facies con Pheronema grayi
V.2. Sabbie
V.2.1. Biocenosi delle sabbie detritiche batiali con Grypheus vitreus
I.3. Fondi duri e rocce
V.3.1. Biocenosi dei coralli profondi
V.3.2. Grotte ed anfratti in totale oscurità (in enclave anche nei piani superiori)
L’Abissale
Il piano abissale arriva fino a 6000 metri mentre il piano successivo, non presente in Mediterraneo, è quello adale, caratteristico delle fosse oceaniche. La vita è estremamente adattata alle basse temperature ed all’elevatissima pressione, e non è possibile la fotosintesi clorofilliana a causa della quasi totale oscurità che vi regna.